lunedì 15 dicembre 2014

Un erudito veneziano di fine Settecento: Jacopo Morelli


Per ragioni, in fondo, essenzialmente numeriche la Svizzera italiana non può vantare che una manciata di autori nel corso di tutto l’Ancien Régime. Stupisce però che, tra questi, almeno due appartengano, più che alla categoria degli scrittori o dei letterati tout court, a quella degli eruditi, degli umanisti e dei profondi conoscitori della storia del libro e della tradizione manoscritta. Francesco Ciceri nel Cinquecento e Jacopo Morelli due secoli più tardi, con esperienze di vita simili eppure radicalmente diverse (a Lugano e Milano il primo, a Venezia il secondo), sono stati entrambi oggetto di un rinnovato interesse critico in tempi recenti. Del Ciceri (1521-1596) è apparso a stampa lo scorso mese di maggio, per le cure di Sandra Clerc, l’intero epistolario latino e volgare nella benemerita collana di “Testi per la storia della cultura della Svizzera italiana”: una corposa opera in due volumi che apre una finestra sulla cultura letteraria luganese del secondo Rinascimento, al crocevia di corrispondenze tra Basilea, Milano, Roma e Madrid, con interlocutori del calibro di Johannes Oporinus o di Paolo Manuzio. Una pubblicazione, è da credere, della quale si parlerà ancora a lungo, per la messe di materiali che rimette sotto gli occhi degli studiosi e per le piste di ricerca che apre in più direzioni. A Morelli (1745-1819) è dedicato invece un libro più recente, edito dalla Fondazione Culturale della Collina d’Oro e dall’editore Giampiero Casagrande. Per dare a Cesare quel che è di Cesare (in questo caso: a Venezia cioè che è proprio della città lagunare), il legame di Jacopo Morelli con le terre ticinesi si limita all’origine della famiglia paterna, nativa di Casaccia, tra Barbengo, l’attuale comune di Collina d’Oro e l’antica parrocchia di Morcote, dai cui archivi Laura Luraschi Barro ha spremuto le poche informazioni che era possibile spremere sugli antenati dell’erudito veneziano. Alla figura e all’attività di Morelli quale bibliotecario di San Marco, carica tra le più prestigiose nella Venezia di fine Settecento, sono dedicati gli altri tre contributi del volume, firmati da esperti in materia quali sono Alessia Giachery, Susy Marcon e Stefano Trovato, tutti a diverso titolo impiegati nella Biblioteca Nazionale Marciana. Il lettore scoprirà così un uomo, l’abate Morelli, dalla personalità forte e passionale («bibliotecario di carattere» lo definisce con acume Stefano Trovato), capace di arricchire e conservare al meglio un catalogo librario tra i più ricchi d’Italia, in tempi per di più non semplici per la politica della tormentata penisola (l’apice della sua carriera coincide con le campagne napoleoniche e con il successivo ritorno degli austriaci nel Lombardo-Veneto). Un uomo il cui profilo si è identificato in toto con l’istituzione per la quale lavorava (dal 1778 alla morte), al punto che la biblioteca veneziana fu definita la sua «Amorosa». I tre contributi citati forniscono, nell’insieme, una miniera di notizie sulla persona, sui carteggi, sullo stato attuale dell’archivio morelliano e sulla fama che l’abate ebbe presso letterati e studiosi, in vita e nei secoli successivi. Alla fine, se il Morelli (che a quanto è dato di sapere non toccò mai questi lidi) può dirsi “ticinese” soltanto per l’unghia di un piede, è un dato che passa giustamente in secondo piano.

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