Nel centenario
della nascita, e a nove anni dalla sua scomparsa, Mario Luzi non ci ha mai
veramente abbandonati. «Lasciami, non
trattenermi» è il grido, sussurrato alla vita, con il quale si era chiusa –
con il libro omonimo – la sua carriera di poeta, ma quel grido non poteva
essere accolto dagli amici che, come Paolo Andrea Mettel e Stefano Verdino, da
allora non hanno mai smesso di divulgare, soprattutto presso i giovani, la voce
dello scrittore fiorentino, tra i massimi del Novecento europeo. Il punto, se
così si può dire, lo aveva fatto egli stesso nel 2005 preparando un Autoritratto per Garzanti con una
selezione dei versi a lui più cari; eppure con simili giganti non si è mai
finito di imparare, leggere, confrontare: lo si è visto a marzo al convegno per
il centenario presso l’Università Cattolica di Milano, primo atto di un ciclo
di festeggiamenti che per qualche settimana farà tappa a Mendrisio.
Presentata al pubblico il 27 maggio, curata dagli stessi Mettel e Verdino con l’aiuto di Giovanni Fontana,
Simone Soldini e Giovanna Uzzani, la mostra Mario
Luzi. Le campagne, le parole, la luce ben si inserisce nelle recenti
esposizioni di Casa Croci dedicate a poeti del XX secolo (Orelli nel 2011 e
Jaccottet nel 2013). Nelle piccole celle della casa-alveare si potranno vedere
così, fino al 24 agosto, abbozzi luziani scritti con grafia minuta, traduzioni
inedite e plaquettes di pregio, all’interno di un percorso costruito con
sobrietà e prudenza, filologicamente ineccepibile. Tra le chicche, una macchina
per scrivere Olivetti acquistata da Leone Traverso negli anni trenta e
utilizzata da Luzi fino alla morte, o gli appunti di un saggio su Bilenchi
aperto da uno Snoopy a mo’ di capolettera. Umiltà, capacità di ascolto e
(delicato) tormento interiore sono le caretteristiche prime del poeta, così
come traspaiono dalla mostra di Mendrisio. Prossima tappa, nel vicino Museo
d’arte a partire dal 16 luglio, Mario
Luzi. Memorie di terra toscana, dedicata agli amici artisti.