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Giovanni Pascoli (1855-1912) |
Pascoli poeta della morte o innocente cantore degli idilli campestri: la scelta tra queste due opzioni sembra inevitabile (la critica, anche psicologica, si è equamente divisa in due). Perché invece non tenere aperte entrambe le ipotesi? Nel senso di una loro compresenza sulla pagina, dove il primo non esclude l’altro, perché il dolore e la gioia convivono, armoniosamente, nel cuore umano; questo suggerisce la sezione Pensieri, così come la chiusa della Prefazione d’autore (1894): «Questa è la parola che dico ora con voce non ancor ben sicura e chiara, e che ripeterò meglio col tempo; le dia ora qualche soavità il pensiero che questa parola potrebbe essere di odio, e è d’amore». Vittorino Andreoli, in un libro che non merita se non una veloce scorsa (I segreti di casa Pascoli, BUR, Milano 2006), ricorda giustamente il lato tragico della vita del poeta: l’assassinio del padre e quel che ne seguì. Ciò che sorprende però, nella poesia che apre la raccolta (Il giorno dei morti), è l’insistenza con cui si chiede il perdono dell’assassino: «Perdona all’uomo, che non so». L’ipotesi di una vendetta, anche soltanto su carta, non è nemmeno contemplata.
poeta della morte e di molte altre cose. della morte che è nelle altre cose. innocente e idilliaco no, a meno che si voglia togliere il simbolo a un simbolista.
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