Nato cento
anni or sono a Luino, Sereni è probabilmente il poeta in cui il nome d’Europa
compare con maggiore frequenza, e sempre in passi di grande investimento
emotivo. «Europa Europa che mi guardi / scendere inerme e assorto in un mio / esile
mito tra le schiere dei bruti, / sono un tuo figlio in fuga» scrive in Italiano
in Grecia, poco dopo aver fissato a Belgrado «una tranquilla ora
d’Europa». L’abitudine a considerare lo spazio in termini geografici, oltre i
confini della provincia in cui è cresciuto, dev’essergli stata suggerita dalla
vicinanza con la “frontiera” elvetica di Zenna, un’immagine che è diventata ben
presto metafora di un orizzonte più vasto, dolce e drammatico al tempo stesso,
a causa delle continue peregrinazioni cui l’hanno costretto gli anni di guerra.
Sereni ha
condiviso insomma, con una generazione di ritardo, la sorte di Giuseppe
Ungaretti, poeta-milite che per i natali ad Alessandria d’Egitto ha sempre
guardato da sud alla realtà europea, mai dimentico dei suoi legami con il
Mediterraneo. Altre coste divennero però tristemente celebri nei mesi in cui il
poeta di Frontiera si trovava
prigioniero nell’Africa del Nord: «Non sa più nulla, è alto sulle ali / il primo
caduto bocconi sulla spiaggia normanna. / Per questo qualcuno stanotte / mi toccava
la spalla mormorando / di pregar per l’Europa» (Diario d’Algeria).
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