giovedì 9 aprile 2015

Erasmo: un testimone dell'identità europea

Erasmo nel notturno d’Europa: tre parole-chiave, tre idee-guida si impongono sulla copertina dell’ultimo libro di Carlo Ossola, riduzione e riassunto di un corso tenuto nel 2012-2013 al Collège de France e già apparso in francese con titolo privo del secondo termine (Érasme et l’Europe, traduction de Nadine Le Lirzin, Paris, Éditions du Félin, 2014). L’identificazione dell’eredità intellettuale del pensatore olandese, campione dell’umanesimo cristiano, con l’identità stessa del Continente si rafforza – questa l’accattivante tesi del libro – proprio quando l’Europa pare aver smarrito la sua strada, nel «notturno» dei totalitarismi novecenteschi, in una stagione di coraggiose riprese erasmiane ad opera di autori perseguitati dal nazismo come Johan Huizinga e Stefan Zweig.
A pochi anni di distanza dagli agili volumi dedicati al Continente interiore (2010) e alla Divina commedia (2012), Ossola continua dunque la sua lettura del passato appoggiandosi alle sapienti spalle di chi ci ha preceduto, delineando una “squadra” di fratelli maggiori – da Eliot a Pound a Mandel’stam, da Zweig a Huizinga – che è qualcosa di più di una storia della ricezione novecentesca dei grandi classici della letteratura europea.
Se dell’autore di Triumph und Tragik des Erasmus von Rotterdam (1934), morto suicida nel 1942 all’apice della carriera di romanziere, si evidenzia l’abitudine a misurare «le epoche e le rivoluzioni sulla loro distanza rispetto al pensiero di Erasmo», in Huizinga sono la visione pacifista e la disciplina etica, rafforzate dall’esercizio retorico del paradosso, a sospingerlo dalle parti dell’Elogio della follia. Proprio da Huizinga era partito Ossola per le sue giovanili indagini attorno all’Autunno del Rinascimento (1971, riproposto recentemente da Olschki in edizione aggiornata) e allo storico olandese ritorna oggi a complemento di una ricerca che ben si inserisce nella lunga serie di studi erasmiani transitati dal Collège de France (dal fondatore Guillaume Budé, amico e corrispondente di Erasmo, su su fino ad Augustin Renaudet e Marcel Bataillon nella prima metà del secolo scorso). La prospettiva del saggio, che guarda soprattutto a un pubblico francese, si arricchisce nell’edizione italiana di un capitolo conclusivo dedicato ad «alcune ragioni» della sfortuna editoriale di Erasmo nell’Italia del Novecento, il cui principale responsabile fu lo storico Delio Cantimori, all’epoca consulente di Einaudi.
Suscitano invece qualche difficoltà, perlomeno a chi scrive, le pagine iniziali di questo pamphlet, un veloce ritratto della figura e del pensiero di Erasmo circa i quali si vorrebbero, in alcuni punti, supplementi d’informazione. Non è senza conseguenze, ad esempio, ritenere l’umanista olandese e il suo sodale britannico Thomas More interamente «al di sopra della querelle della Riforma» (p. 11), testimoni e anticipatori del «vero» Rinascimento «che non si lasciò irretire dalle contese religiose» (p. 13), se il primo fu un precoce avversatore di Lutero sulla questione del libero arbitrio, e il secondo accettò di morire per mano di Enrico VIII pur di non ammettere che era priva di fondamento l’autorità papale. Complice l’eco mediatica («Il vero Rinascimento si insegna al Collège de France» titolava con poco garbo, lo scorso 22 febbraio, il domenicale del «Sole 24 Ore»), c’è il rischio che passi per acquisita una sola immagine di uno dei periodi culturalmente più vivaci della nostra storia, segnato certo da aberrazioni (la morte sul rogo di Michele Servèto per ordine di Giovanni Calvino ed equivalenti crimini dell’Inquisizione Romana) ma ricco anche in forza dello scontro acceso – e non nonostante quello – che divise e caratterizzò a lungo la Cristianità europea contribuendo alla nascita di una nuova stagione. Lungo la linea del «Rinascimento critico» proposta da Ossola, da Erasmo e More a Rabelais e Montaigne, non si potrebbe inserire un autore partigiano, fazioso e tormentatissimo – proprio perché figlio del suo tempo – come Torquato Tasso.
Quel che più conta, alla fine, è tornare a riflettere sulle mille e affascinanti sfaccettature dell’identità europea, cosa che questo libro invita a fare con acume e intelligenza e che andrà senz’altro ascritta tra i suoi meriti. Specie in questa nostra epoca per molti versi crepuscolare.