martedì 8 febbraio 2011

"Freedom" di Jonathan Franzen

La copertina dell'edizione inglese
Di una cosa dobbiamo essere grati a Jonathan Franzen: di non essersi fatto vivo per nove anni, di aver scritto con molta calma il suo nuovo romanzo dando spazio a quelle necessità che sole dovrebbero nutrire la scrittura. Si è preso del tempo, e si vede, così che Freedom – presto in traduzione italiana da Einaudi – può dirsi figlio del medesimo autore delle Correzioni. Non è cosa da poco.
Ecco allora un’altra famiglia, forse meno memorabile dei Lambert ma altrettanto tesa, caotica, accidiosa, più giovane per età e più moderna di tratti, ugualmente scontenta e scontrosa, il cui nome di ascendenze nordiche (Berglund) sembra alludere ad una dimensione internazionale, sebbene non manchino i provocatori stereotipi attorno ai quali Franzen (degno erede di Roth e della sua Pastorale americana) aveva costruito l’ossatura del precedente romanzo. Persino i personaggi – in questo caso un merito più che un difetto – sembrano gli stessi delle Correzioni, tanto Richard Katz richiama la desolazione di Chip Lambert o le sbandate di Denise riflettono la difficile esistenza di Patty Berglund, l’eterna ragazzina di Freedom. L’eccesso è lì, dietro l’angolo, corteggiato a lungo ma mai – per il bene del lettoreveramente afferrato: questa è la qualità prima di Franzen, i cui personaggi si osservano (in proprio e a vicenda) come dall’alto, in un autoscandaglio lucidissimo segnato da viva intelligenza.
Gusto e misura sono doni dati a pochi, in narrativa, e un niente sarebbe bastato all’autore per rovinare una scena, invece, equilibrata e avvincente come il dialogo del giovane Berglund con la bellissima sorella del suo compagno di scuola, in un silenzioso appartamento di New York, una mattina come tante altre; ma Franzen non è Tom Wolfe, e anche quando parla di college sa tenere lontane le banalizzazioni del romanzo di genere (I am Charlotte Simmons). La posta in gioco, d’altronde, è evidente sin dal titolo, segno che l’autore non è disposto a puntare al ribasso, com’è di un narratore vero.

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