lunedì 19 settembre 2011

Giorgio Orelli, le carte di una vita (esposizione)

«È un privilegio che in genere viene concesso soltanto ai morti». Così scherzava con noi Giorgio Orelli a Mendrisio, poco dopo la presentazione della mostra che lo vede protagonista nei locali asimmetrici di Casa Croci. «Qualcuno deve aver pensato che, in fondo, è un po’ come se fossi già di là…». Tutt’altra impressione si ha invece nel sentirlo parlare, contornato di amici, parenti, poeti ventenni e vecchi professori, mentre racconta degli anni giovanili in Leventina o della distanza «di un’ora e mezza tra Prato e il Tremorgio» percorsa in un lampo dai cani da caccia all’inseguimento delle lepri.


Degna conclusione dei festeggiamenti per i novant’anni iniziati in maggio a Bellinzona (ma il 29 settembre si annuncia già una tavola rotonda sul tema), l’esposizione curata da Pietro De Marchi e Simone Soldini ha il merito di portare Orelli in un altro angolo del Ticino, lontano dalla sua città e dalle sue montagne, per una celebrazione corale che è dell’intera Svizzera italiana. «Mia donna venne a me…» ha ricordato Orelli, omaggiando con i versi danteschi di Cacciaguida (Paradiso XV) le origini momò dell’amata Mimma, prima di concedersi nella lettura e commento di alcuni testi celebri – da Sera a Bedretto a L’ora esatta – con grande gioia del pubblico, al solito numerosissimo. Forse per nessuno come per il poeta di Airolo si può infatti parlare di patrimonio culturale comune, uno scrittore internazionale di casa nostra che mai prima d’ora aveva aperto con tanta generosità il suo archivio personale (del quale è notoriamente geloso): manoscritti, abbozzi, rari volumi esauriti da tempo, corrispondenze con amici poeti… Non manca nulla per soddisfare la curiosità degli appassionati e dei lettori che lo seguono fedelmente da decenni, con tanto di macchina da scrivere Olivetti modello Lettera 22 dalla quale esce, quasi fosse appena composta, la poesia dedicata al compianto amico che gliel’aveva venduta (la “X”, per la cronaca, è veramente bianchissima, “E” e “O” quasi sparite…).


In memoria


Tornavo per farmi cambiare
il nastro ormai privo d’inchiostro
della mia vecchia Olivetti, e allungando,
come faccio, passando in bicicletta
davanti al tuo negozio, l’occhio
di là dai vetri, ho visto
che non c’era nessuno (forse
Lina è di sopra con Dora)
e ho visto CHIUSO PER LUTTO (forse
è morto Lino): da un po’
non ti vedevo, non mi contavi storielle.
Volevo dirti che mi sono accorto
solo adesso della totale scomparsa,
a sinistra, di E, di O a destra.
Il tasto è nero ma sempre lucente,
se batto (eternamente con due dita) continuo
a vederle, bianchissime, intatte
o quasi, come, là in basso, la X.

(da Il collo dell’anitra, 2001)

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